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Dal 1 novembre Enrico Menduni è in pensione. Gli insegnamenti che ha tenuto sono da quest’anno affidati a Marta Perrotta (Culture e formati della TV e della radio + Media digitali) e a Marco Gazzano (Storia e critica della fotografia).
Auguri ai bravissimi colleghi e saluti affettuosi a tutti gli studenti, presenti, passati e futuri. Avanti per nuove avventure !

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Il documentario

Il rosso dipinto di blu

Nel dopoguerra, soprattutto in Italia e in Francia, i partiti di sinistra costruirono una rete di circoli ricreativi, feste popolari, gare sportive che dovevano servire a dare identità e allargare l’influenza politica e culturale del “movimento operaio”. A raccogliere la tradizione del Fronte popolare francese e della Socialdemocrazia tedesca fu, in Italia, soprattutto il Partito comunista.

Nacque così un tessuto culturale e ricreativo che, per migliaia di militanti e per le loro famiglie, tendeva a costituirsi quasi in un mondo parallelo, combattivo ma rassicurante, capace di inglobare gli affetti e la vita privata.

Nelle zone rosse dell’Italia, al centro di questo complessa rete erano le case del popolo. Costruite dai militanti, o frutto dell’occupazione delle Case del fascio alla fine della guerra, erano diffuse anche nei piccoli paesi e potevano apparire come anticipazioni di un comunismo realizzato. Erano parte di una costellazione che comprendeva giornali popolari, concerti, spettacoli teatrali, documentari, tombole e lotterie, gruppi sportivi e le feste dell’Unità, in cui si eleggevano perfino le miss.

Quel mondo, già sfidato dall’intrattenimento domestico televisivo, fa oggi i conti con una realtà sociale radicalmente cambiata, con la fine di una segmentazione ideologica della società e la progressiva cancellazione dei valori identitari e partecipativi originari. Il documentario è girato in Toscana dove questo tessuto era stato particolarmente ricco e aveva costituito nel mondo comunista quasi un tratto distintivo e una leadership della regione, come era stata la cooperazione in Emilia-Romagna, e intreccia le microstorie di due realtà molto diverse : i dintorni di Firenze e il distretto minerario di Grosseto.

Vicinissime a Firenze Impruneta, Mezzomonte, Grassina, San Casciano sono contraddistinte da una realtà urbanizzata artigianale e terziaria, di provenienza agricola, a cui la vicinanza alla città aggiunge i tratti di una presenza intellettuale e di un continuo scambio politico e culturale. Le Case del popolo sorgono qui negli anni Quaranta e Cinquanta e molte sono protagoniste, o vittime, di una doppia espulsione. Infatti molti di questi circoli ricreativi preesistevano al fascismo, che li aveva espugnati e occupati a mano armata. In molti casi i soci erano stati costretti con la forza a una fittizia donazione o vendita dell’immobile al Partito fascista, in uno strano impasto di violenza e di burocratica legalità,. Dopo la Liberazione i vecchi soci e i partiti di sinistra erano rientrati nelle vecchie sedi. Le proprietà del disciolto Partito fascista erano però passate al demanio dello Stato. Nel 1955 un’operazione politica del presidente del Consiglio Mario Scelba (che rimase ad interim ministro degli Interni) fece sgomberare molte sedi : 23 solo nella provincia di Firenze. Impruneta fu una di queste, e un rarissimo documentario b/n – che abbiamo utilizzato – mostra la polizia che forza i cancelli della Casa del popolo, l’esodo dei militanti in corteo, la costruzione della nuova sede, che è l’attuale, sovrastata da una grande stella rossa, su un traliccio alto 18 metri, che si accende ogni notte.

Gavorrano è invece al centro del distretto minerario grossetano. Un tempo la più grande miniera italiana di pirite, proprietà della Montecatini, necessaria per produrre l’acido solforico e quindi sia i fertilizzanti che gli esplosivi, la pace e la guerra. I minatori di Gavorrano sono un’aristocrazia operaia che fu anche convocata per estrarre il corpo ormai esanime di Alfredino Rampi dal pozzo di Vermicino (1981). Ma la miniera stava finendo : al ritorno da Vermicino i minatori trovarono la cassa integrazione.

La Casa del popolo di Bagno di Gavorrano fu costruita quando in altri luoghi già questo tipo di offerta ricreativa era in piena crisi : nel 1973. Accanto, venne scoperto un grande monumento a Togliatti, la cui base è fatta di massi di pirite della miniera. Togliatti non amava i monumenti e risulta un solo altro monumento, a Genzano nei castelli romani, inaugurato nel 1972, in realtà un semplice busto. L’inaugurazione coincise con una manifestazione con Pietro Ingrao, leader della sinistra comunista, e si intrecciò con il colpo di stato in Cile. Il putsch del generale Pinochet si svolse l’11 settembre 1973, la manifestazione a Gavorrano il 23 settembre. L’interpretazione tutta antidemocristiana di Pietro Ingrao era agli antipodi del compromesso storico del quale negli stessi giorni Enrico Berlinguer stava preparando il primo dei testi fondativi (che uscì su “Rinascita” formalmente il 28 settembre, ma che era in edicola dal 25). Forse per questo l’Unitelefilm (la casa di produzione del PCI) che aveva mandato sul luogo ben due cineoperatori con Arriflex 16 mm., non montò mai le scene che avevano girato. Noi abbiamo ritrovato e mostrato il girato (in b/n), e l’abbiamo inetgrato con quello, a colori, realizzato da Marco Giusti, un cineamatore comunista locale. L’audio, che è corrotto nel filmato Unitelefilm, è stato ricostruito utilizzando l’audiocassetta realizzata da un altro comunista locale. Dopo questa storia gloriosa, tuttavia, la Casa del popolo di Bagno di Gavorrano vive una profonda crisi di identità, che è anche la crisi della sua base fondante, i minatori.

Il documentario si chiude con i giovani di San Casciano che restaurano alcuni locali della casa del popolo per farci una sede per loro, un ritrovo per i giovani del posto. Si chiude con una speranza.


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